
Pochi napoletani conoscono davvero l’esistenza del Molo San Vincenzo. Eppure, almeno una volta nella vita, ci sono passati davanti, senza sapere cosa custodisse dietro quei cancelli, né cosa rappresenti per tutti noi.
Proprio lì, in quel luogo sospeso tra mare e storia, c’era una volta la sede del Servizio Mare del Comune. Non era più quella di un tempo: i funzionari erano rimasti in pochi, molti andati in pensione, compreso l’unico che aveva la patente nautica per far muovere un vecchio gommone ormeggiato, due motori da 200 cavalli rimasti a secco per anni. Un ufficio umido, spoglio, che sopravviveva come poteva, sempre in bilico tra abbandono e resistenza.
Fu lì che incontrai don Francesco, uomo di mare, che aveva iniziato a fare l’ormeggiatore a quindici anni. Mi raccontava che ogni porto è fatto di cime, navi e banchine, ma soprattutto di sacrifici nascosti e storie dimenticate. La sua vita intera si era consumata al Molo San Vincenzo. Come me, aveva ascoltato le promesse di ogni sindaco: “A breve lo apriremo alla città”. Promesse che restavano puntualmente sospese, come reti calate senza mai pescare nulla.
Il Molo, però, è un luogo magico. Qui un tempo la Real Marina del Regno delle Due Sicilie faceva varare le navi e forgiava i cannoni. Era il cuore pulsante di una delle marine più potenti d’Europa, capace di tecniche idrauliche uniche: manutenzioni complesse, fatte senza mettere a rischio la vita degli uomini. Un orgoglio del Regno, un vanto che raccontava la sua grandezza… e, insieme, la sua caduta. Poi l’Unità d’Italia, la Seconda Guerra mondiale, i bombardamenti: oggi ne resta l’eco, che vibra nei silenzi del bacino di carenaggio.
Io il Molo l’ho percorso tante volte: quattro chilometri in tutto, due all’andata e due al ritorno. Una passeggiata tra edifici della Marina ormai abbandonati, tra segni di riscatto come quella di “Scugnizzi a vela” che meriterebbe un racconto a parte. Camminare lì è come restare sospesi tra la città e il mare, tra passato e presente, con la sensazione che ogni passo sia un tuffo nella memoria. E per questo spero, con tutto il cuore, che il Molo San Vincenzo venga presto aperto ai cittadini. Perché attraversarlo non significa solo guardare il mare: significa camminare dentro la nostra storia, passo dopo passo, e scoprire che Napoli non finisce mai di stupire, proprio quando credi di conoscerla già tutta.
La nostra camminata finiva sempre in fondo al Molo, davanti alla statua di San Gennaro, con lo sguardo severo rivolto al Vesuvio e al mare. È lì che il patrono sembra sussurrare: “Qua ci penso io”. Da quel punto Napoli appare in tutta la sua grandezza: il golfo che si apre, i palazzi che brillano al sole, e la certezza che questa città, anche nei suoi silenzi, non smette di parlare.
Oggi il Molo San Vincenzo è forse più che mai a un punto di svolta. Divenuto famoso come location della fiction “Mare Fuori”, qualche giorno fa ha vissuto un piccolo spiraglio di rinascita: il primo evento aperto al pubblico, un cinema all’aperto. Camminando lungo quei metri, ho pensato a don Antonio, vecchio ormeggiatore che, anche da pensionato, tornava lì ogni mattina. Lasciava la moglie a fare la spesa e lui, fedele come sempre, si metteva a sistemare cime, ferri, arnesi. Perché il mare, quando ti entra nelle ossa, non lo lasci più: resta lì, come un respiro eterno, che ti accompagna fino alla fine.
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