Pochi prestano attenzione alle abitazioni che insistono qui in via Port’Alba, uno dei punti d’accesso della città di epoca rinascimentale, seconda per fama solo a quella di Porta Capuana. Le poche centinaia di metri di Via Port’Alba raccolgono, come le tante altre strade della città di Napoli molte storie. Al civico 3, vi abita il dott. Donato Pacilio, docente universitario in pensione, dispensa storie sulla sua famiglia, racconta spesso quella di un suo avo, Salvatore, semplice operaio di fine ‘700, che curò l’installazione della storica targa posta ancora oggi all’ingresso sul lato posteriore di via San Sebastiano, avvenuta nel 1796 che istituiva una delle tante ammende ai venditori ambulanti o a chiunque altro ostruiva il passaggio della porta, alle carrozze e ai pedoni in transito.
Dall’altra parte di Via Port’Alba, verso piazza Dante al civico 33, vi abita il sig. Alberto, ottavo rappresentante della famiglia Mercatello, un cognome storico il loro, prende il nome da quella antica e storica piazza Mercatello, oggi piazza Dante, un tempo per dimensione e fama seconda solo alla più famosa piazza Mercato. Probabilmente il loro vero cognome era differente, forse Esposito, ma come accade spesso, un loro trisavolo Francesco, custode e attento osservatore di quella porta, venne soprannominato “Mercatello” proprio per la vicina piazza e così saranno chiamate le generazioni future.
Ma tra tutte le storie il sig. Alberto Mercatello e Donato Pacilio ricordano sempre entrambi quella dei loro rispettivi nonni ai tempi della guerra, quando con un manipolo di librai, storicamente presenti in questa via, stufi dall’occupazione nazista, tra Via San Pietro a Majella e Via San Sebastiano aiutati da un manipolo di scugnizzi bloccarono un camion pronto a partire per l’ennesimo campo di concentramento.
Furono sempre i loro “giovani” nonni , rischiando più volta la vita, a nascondere, nei tanti anfratti segreti delle due porte, intere famiglie perseguitate, senza alcuna colpa, durante la seconda guerra.
Da all’ora i due avi delle due storiche famiglie, si salutavano ogni mattina con un gesto tanto naturale per noi napoletani da non destare alcun sospetto tra i nazisti, un saluto tra i due sollevando di quale tanto il cappello, seguito da un sonoro “buongiorno”.
In quel saluto naturale, intrinseco in noi napoletani, era in realtà codificato tra i due un messaggio ben preciso. Il sollevamento del cappello indicava l’aver lasciato un po’ di buone pizze “sospese” alla vicina pizzeria Port’Alba già a quei tempi famosa, mentre quel buongiorno pronunciato in dialetto e in modo così vistoso, indicava l’aver messo al sicuro altri innocenti.
Ed è così che qui a Port’Alba, così come in tante altre parti di questa città, quel saluto vistoso, potente e sincero ha salvato e salva ancora oggi molte anime tristi, perché qui in questa città c’e’ sempre un Mercatello o uno Pacilio pronto a donare quel poco che ha, pronto ad aiutare chi, per tanti motivi ha bisogno di un sorriso.
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